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Torna alla home page... Data Odierna: 21 Maggio 2024   
Intervento di Bruno Veronesi, Laureato dell'anno 2004 - "Una carriera eccellente"

E’ un immenso piacere ricevere il premio “Il Laureato dell’Anno” da parte dell’Università di Verona. Sono passati un po’ di anni da quando trascorrevo da studente le mie giornate nelle aule della facoltà di Economia e Commercio di Padova.

Ritornare “da adulti” in un’università è sempre piacevole: soprattutto perché non ho più a che fare con esami interminabili e professori severi.

E’ banale dirlo ma è la verità: l’università è una tappa fondamentale nella crescita culturale e sociale di un individuo. Entrare in contatto con nuove persone, allargare i propri orizzonti conoscitivi: sono alcuni degli aspetti positivi che derivano dal frequentare l’università e di cui spero stiate facendo preziosa esperienza.

L’università allarga la mente. E rappresenta anche una porta per entrare nel mondo del lavoro.

Certo il passaggio dalle aule scolastiche agli uffici delle aziende non è facile: si tratta di due realtà spesso differenti con tempi e modalità proprie. Ciò è vero ora ed era ancor più vero ai miei tempi, quando erano molto più rare per uno studente universitario le occasioni per conoscere concretamente la realtà aziendale.

Ecco quindi l’importanza degli stage che permettono ai laureandi e ai neolaureati di mettere in pratica sul campo le conoscenze acquisite all’università e alle azienda di saggiare le capacità dei giovani.

Per quanto mi riguarda ho avuto la fortuna di svolgere una sorta di stage ante litteram nell’azienda di famiglia. Mentre ero ancora all’università, passavo infatti alcune ore del mio tempo libero in AIA, all’epoca una realtà industriale giovane, visto che era sorta nel 1968.

Conseguita la laurea, presi a lavorare a tempo pieno in azienda. A dire la verità, all’inizio non c’era neppure la consapevolezza dell’impegno che ne sarebbe derivato.

Va ricordato, inoltre, che erano i tempi degli “anni di piombo” e dei sequestri di persona ed essere imprenditore era considerato una colpa grave.

Nel settore delle carni avicole, infine, si parlava molto del modello americano di sistema integrato, che iniziava ad essere importato anche da noi, ma mancavano veri e propri punti di riferimento.

C’erano tutte le condizioni per non essere entusiasti. Era una fase di cambiamento sia nella società in generale sia nel nostro comparto.

Ma è stata una fortuna.

Perché mi sono trovato ad agire da imprenditore in un settore in cui la mentalità stava evolvendo verso un concetto moderno di azienda, nel quale impegno quotidiano e desiderio di fare nuove esperienze finivano per ricoprire ruoli sempre più signficativi.

E perché non c’erano certezze e quindi diventava più che mai necessario prendere decisioni E non poteva essere diversamente.

Essere imprenditore significa avere la tremenda responsabilità di prendere spesso in breve tempo decisioni, anche e soprattutto in momenti difficili.

Decisioni da cui dipende non solo il tuo futuro ma anche quello delle migliaia di persone che lavorano con te.

Non è facile. Ma assumersi buona parte del rischio fa parte della natura dell’imprenditore: la voglia di rischiare è fondamentale. Anzi, più che di voglia si dovrebbe parlare di vero e proprio dovere. Un imprenditore non è tale se ha paura di osare. Perché osare significa anche innovare.

Un esempio personale renderà questa mia affermazione più chiara. Si tratta dei wurstel di pollo, che spero voi mangiate, altrimenti sarei fortemente preoccupato

Viaggiando negli Stati Uniti, vedemmo che i wurstel di pollo riscuotevano il successo del pubblico. Decidemmo di fare lo stesso in Italia.

Ma i risultati delle ricerche di mercato ce lo sconsigliavano: nel nostro Paese – ci dicevano i risultati – il wurstel è solo quello di suino e quindi non c’è spazio per il pollo.

Ma noi abbiamo voluto rischiare, effettuando numerosi investimenti e dotandoci di una linea produttiva di alta potenzialità e automazione che ci ha assicurato un vantaggio competitivo in termini di costi e soprattutto di qualità.

Alla fine abbiamo vinto la scommessa. Questa scommessa si chiama Wudy, uno dei nostri prodotti di punta.

Dopo appena 35 anni, AIA è diventata una delle realtà più solide dell’industria alimentare italiana ed europea. L’anno scorso il fatturato del gruppo ha superato il miliardo di euro, dando lavoro a circa 4.500 dipendenti. E’ leader di mercato nel settore delle carni avicole e fa parte del gruppo Veronesi, che comprende altri marchi storici dell’agroalimentare di casa nostra, come Montorsi, Negroni e Fini salumi.

Un successo, quindi, notevole, frutto della capacità non solo di soddisfare ma anche di anticipare i gusti dei consumatori, senza trascurare la tradizione culinaria italiana che di assoluta eccellenza.

E frutto anche dell’impegno delle migliaia di dipendenti che hanno lavorato e lavorano nei nostri stabilimenti.

In poche parole: il successo è stato il frutto dell’attenzione al particolare ( la cura direi maniacale per le piccole cose), l’attenzione costante per la qualità e per l’esigenze dell’opinione pubblica, il rigoroso rispetto delle norme igienico-sanitarie.

Questi i fattori chiave che mio padre mi ha trasmesso, che hanno contraddistinto la mia attività di imprenditore e che io tento di trasferire ai miei collaboratori.

Non solo. Questi sono stati i fattori chiave del successo del Nord Est, a proposito del quale vorrei dedicare la parte conclusiva del mio discorso.

Molti dicono il modello Nord Est è in crisi, che sta scomparendo. Ora il Nord Est, come il resto dell’economia italiana, sta attraversando un momento non facile. Il mercato interno fa fatica a riprendersi. La congiuntura economica internazionale non è affatto positiva e non favorisce le nostre esportazioni. La concorrenza è sempre più agguerrita.

Il quadro non è piacevole. Ma il pessimismo non paga.

Tutta colpa della globalizzazione? Non proprio. Nulla impedisce che il Nord Est torni ad essere la locomotiva dell’economia italiana. Va ricordato che esso rimane un modello insuperabile dal punto di vista non solo dell’organizzazione del lavoro, delle relazioni industriali ma anche e soprattutto del rapporto con la realtà locale.

Un modello con una particolare concezione di intendere il lavoro, capace di fondere innovazione tecnologica, voglia imprenditoriale di sperimentare e rischiare, creatività e legame con il territorio, servizio ai consumatori. Sono quegli elementi che caratterizzano lo stile di AIA, della nostra regione e, in generale, dell’Italia e che rendono i nostri prodotti, nonostante tutto, inimitabili.

Tornare a riscoprire e a valorizzare questi elementi è la migliore soluzione per superare questo momento di difficoltà. Il risultato finale che si ottiene è la qualità insieme alla sicurezza. E la qualità e sicurezza vengono sempre premiate.

Ecco perché non abbiamo nulla da temere. Neppure da realtà economiche in forte sviluppo come la Cina, concorrente temibile ma anche mercato dalle enormi potenzialità.

Come ripete il Presidente di Confindustria, l’importante è rimboccarci le maniche e – scusate la ripetizione - tornare alla qualità. Attività queste in cui noi veneti non siamo secondi a nessuno.