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Torna alla home page... Data Odierna: 23 Aprile 2024   
ECONOMIA E ENTROPIA

Luca Zefferino


Titolo della tesi:
Il pensiero economico di Nicholas Georgescu-Roegen.
La transizione dal paradigma meccanicistico al paradigma della
complessità.
Materia: Storia del pensiero economico, Economia politica
Relatore: Ch.mo Prof. Giovanni Tondini
Corso di laurea in Economia e Commercio
Data di laurea: 18-9-2010
Votazione finale: 95/110

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Il punto centrale della teoria bioeconomica di Nicholas Georgescu-Roegen è la legge di entropia.
Questa legge, il secondo principio della termodinamica, occupa nella scienza una posizione salda e indiscutibile quanto la legge di gravità. Tutti i grandi fisici hanno sostenuto che non potrà mai essere superata. Secondo Einstein non si può violare il secondo principio, così come non è possibile superare la velocità della luce.
La legge di entropia afferma che ogni volta che impieghiamo energia, trasformiamo irreversibilmente una quantità di energia libera, che l’uomo può utilizzare per vari scopi, in energia legata, che non sarà più possibile usare. Ad esempio, l’energia chimica contenuta in un pezzo di carbone è energia libera, perché possiamo trasformarla in calore, oppure in lavoro meccanico. Quando il pezzo di carbone brucia, l’energia libera in esso contenuta si trasforma, cambia di qualità, si degrada in energia legata, dissipandosi nell’ambiente sotto forma di calore, fumo e cenere.
Anche per la materia vale un principio perfettamente simmetrico, che Georgescu-Roegen chiama “quarto principio della termodinamica”, secondo il quale anche la materia è soggetta a una degradazione, irrevocabile e irreversibile, da materia utilizzabile, che l’uomo può usare nella manipolazione fisico-chimica, a materia non utilizzabile, ovvero tutte le particelle di materia che si trovano disperse ai quattro venti nel pianeta. Si pensi, per esempio, alle particelle di gomma dissipate per la frizione dei pneumatici sulle strade. O all’humus, che viene trasportato dai torrenti negli oceani, diminuendo così inesorabilmente la fertilità dei terreni.
Si tratta di verità evidenti, sotto gli occhi di tutti. Intorno a noi, tutto si ossida, si rompe, si disperde, si cancella. Ogni essere vivente invecchia e muore. Qualsiasi processo fisico o biologico implica dissipazione irreversibile, sia di energia, sia di materia.
Una elementare regola economica è che non si può ottenere niente gratis. La legge di entropia, estesa anche alla materia, ci insegna che la realtà è molto più severa. In termini di entropia, il costo di ogni attività, biologica o economica, è sempre maggiore del risultato. In termini di entropia, qualunque attività del genere risulta inevitabilmente in perdita.
Alla luce di questi principi, il processo economico dal punto di vista fisico non fa che trasformare continuamente e irreversibilmente risorse naturali dotate di valore in scarti non più utilizzabili, persi per sempre. Produzione e consumo sono considerati congiuntamente, come due stadi successivi del medesimo processo di trasformazione della materia e energia con bassa entropia, in materia e energia con alta entropia.
Poiché il nostro pianeta è un sistema chiuso, ovvero è attraversato dall’energia che arriva dal Sole ma non scambia materia con l’esterno, la bassa entropia terrestre è una quantità finita. Scarsa in un senso diverso da quello in cui è scarsa la terra ricardiana. Entrambe sono disponibili in quantità limitate, ma la bassa entropia ambientale può essere usata una sola volta: non possiamo usare due volte lo stesso pezzo di carbone, una volta bruciato si è definitivamente trasformato in fumo e cenere.
Inoltre, va considerato che la vita dell’uomo, come di ogni altro essere che abita la Terra, non solo dipende dalla bassa entropia che riesce a reperire nell’ambiente, ma può svolgersi solo in specifiche e delicate condizioni di equilibrio dell’ecosistema.
Il processo economico, pertanto, provoca due conseguenze negative. La prima è l’impoverimento irreversibile della complessiva quantità di risorse di energia e materia utilizzabili, che costituiscono la dote dell’umanità, grande ma in rapido esaurimento agli attuali ritmi industriali. La seconda è l’inquinamento, che necessariamente si accompagna alla produzione industriale e peggiora la qualità dell’ambiente naturale, riversandosi nei corpi riceventi, il suolo, le acque e l’atmosfera. I rifiuti solidi, liquidi e gassosi, espulsi dal sistema economico in forme più o meno nocive, non possono accumularsi indefinitamente in uno spazio limitato. Superati i limiti biofisici della capacità portante della Terra, i delicati equilibri dell’ecosistema vengono gravemente compromessi, mettendo in serio pericolo la nostra esistenza puramente biologica.
Risulta, quindi, del tutto fuorviante la nozione che il processo economico sia un fatto isolato, circolare, come viene rappresentato sia nell’analisi tradizionale sia in quella marxista. Il processo economico è saldamente ancorato a una base materiale sottoposta a vincoli precisi. È a causa di questi vincoli che il processo economico ha un’evoluzione unidirezionale e irreversibile.
Gli economisti standard ignorano, o decidono di ignorare, tutto ciò che risulta al di fuori del mercato basato sui soli valori di scambio: i prelievi sulla natura, lo scarico dei rifiuti e l’interdipendenza generale tra fenomeni economici e fenomeni ambientali.
Le risorse naturali sono considerate doni gratuiti, che la natura continuerà a dispensare per un tempo indefinito. Passa così in secondo piano il fatto che la produzione non può procedere in assenza di flussi di fattori produttivi in entrata.
Anche l’altro aspetto che sempre si accompagna alla produzione, gli scarti, il flusso in uscita del processo economico, vengono ignorati nello schema standard, dato che per definizione non hanno valore, e pertanto il meccanismo automatico di mercato non può funzionare. È sempre più evidente, tuttavia, che i rifiuti sono un aspetto assai critico del processo economico. Certo è possibile ridurre l’inquinamento, ma a prezzo di aggravare ulteriormente la pressione esercitata dalla enorme capacità produttiva del sistema economico mondiale sulla quantità finita di risorse disponibili.
Nell’ottica bioeconomica, la teoria della produzione dovrebbe allargarsi a comprendere la fase iniziale, in cui vengono reperite le materie prime e le fonti energetiche necessarie, e la fase finale, in cui vengono smaltiti i residui delle lavorazioni e ciò che resta delle merci dopo il consumo. Inoltre, nella fase di progettazione del bene prodotto, si dovrebbe anche tenere conto della durata (vita utile) e del consumo di bassa entropia che si accompagna alle specifiche modalità di fruizione del prodotto stesso.
Si dovrebbe studiare e progettare la soddisfazione di un determinato bisogno, computando i consumi di materia e energia complessivamente implicati, prima, dopo, e durante la produzione e il consumo.

In conclusione, tanto più alto è il grado di sviluppo economico, tanto maggiore è l’ammontare annuo di impoverimento dello stock di bassa entropia terrestre, tanto maggiori sono gli effetti cumulativi dell’inquinamento sull’ambiente, e conseguentemente tanto più breve diventa la speranza di vita della specie umana.
Georgescu-Roegen chiarisce inequivocabilmente che una crescita illimitata, dogma dell’economia moderna, è impossibile. La crescita economica comporta un impoverimento complessivo del pianeta, per cui è destinata necessariamente ad arrestarsi.
Anche il concetto di sviluppo sostenibile si rivela contraddittorio, perché anche uno stato in cui popolazione, produzione e consumo rimangono costanti non è sostenibile nel lungo periodo.
Quello che è possibile fare è rendere meno insostenibile l’economia. Se abbiamo a cuore le generazioni future, se vogliamo che la specie umana possa sopravvivere ancora a lungo, è necessario avviarsi verso uno stato di decrescita.
Questa sarà comunque inevitabile ma, affrontando la situazione per tempo, sarà possibile rendere meno tragica questa inevitabile transizione, evitando o almeno attenuando i conflitti sociali, le guerre, le carestie e le catastrofi ambientali che già da tempo stanno affiorando sempre più prepotentemente.
L’obiettivo della bioeconomia non è massimizzare il prodotto, il rendimento e i profitti, ma minimizzare i rimorsi. Ogni aggeggio in più, sia esso particolarmente accattivante o completamente superfluo, significa meno cibo per coloro che soffrono la fame oggi e meno aratri per le generazioni future.
Georgescu-Roegen ha dimostrato scientificamente che ognuno di noi consuma nella sua vita una parte della ricchezza a disposizione dell’umanità, a discapito del prossimo, presente o futuro, perché è una ricchezza in quantità finita di cui è possibile godere una sola volta.
A questo punto la conoscenza scientifica lascia il passo alla coscienza etica.
Solo la riscoperta del millenario valore dell’altruismo, della semplice e maestosa bellezza della natura, e dell’antica saggezza che la felicità non viene dal possedere molte e grandi cose, può dare lo slancio necessario per un radicale cambiamento del nostro stile di vita, a favore di una più equa distribuzione delle risorse, nel presente e nel futuro, e di una efficace protezione dell’ambiente. Questo cambiamento non può essere imposto ma deve nascere da un intimo convincimento. Ognuno valuterà, secondo la propria coscienza e le proprie passioni, a cosa è disposto a rinunciare, non dico per cambiare il mondo, ma almeno per non essere complice di un sistema ingiusto e antiecologico.
Partendo da rigorose dimostrazioni scientifiche, da una dimensione strettamente fisica, materiale, Georgescu-Roegen ci riporta alla centralità della dimensione spirituale della vita. Solo l’amore può sfuggire alla legge di entropia e può dare la vera felicità.




Luca Zefferino