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Torna alla home page... Data Odierna: 26 Aprile 2024   
L’IMPATTO DELLA SPECULAZIONE CON FUTURES SUI PREZZI DELLE COMMODITIES: IL CASO DEL PETROLIO

Paolo Tonon
Titolo delle tesi: L’impatto della speculazione con futures sui prezzi delle commodities: il caso del petrolio
Relatore: Prof. Andrea Berardi
Corso di laurea Triennale in Economia e Commercio (Classe 28)
Data di laurea: 24/11/2011
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“È la speculazione sui prodotti alimentari che fa scoppiare nel mondo le rivolte del pane”. L’articolo di Marco Lettieri e Paolo Raimondi ha subito attirato il mio interesse, spingendomi ad approfondire l’argomento. Nell’estate 2008 i prezzi delle materie prime hanno raggiunto livelli record: quelle energetiche ed alimentari dal 2004 sono rispettivamente più che quadruplicate e raddoppiate, con effetti di portata enorme. Tra il 2007 e il 2008 infatti 115 milioni di persone dei Paesi meno sviluppati sono state costrette alla fame e l’impennata dell’oro nero è ritenuta corresponsabile della crescita dei prezzi di tutte le altre commodities a causa della sua cruciale importanza in tutte le fasi di trasporto e lavorazione. Sotto accusa è la speculazione in futures sulle commodities. I due autori sono tra coloro che ritengono che le quotazioni di questi beni siano state spinte al rialzo dalle posizioni rialziste in derivati dei grandi investitori istituzionali. Al contrario altri economisti sono convinti che a guidare i prezzi delle commodities siano stati come al solito i fondamentali di domanda e offerta, sottolineando come l’attività speculativa svolga importanti funzioni a livello finanziario che si riverberano sui mercati reali. La questione è ancora oggetto di disputa a livello internazionale: possibile che la leva di una finanza senza scrupoli sia riuscita a manipolare il livello delle quotazioni di beni reali e tangibili come le materie prime? Per capirlo partiamo dall’inizio.

Esistono due tipi di mercati: quelli reali dove si scambiano fisicamente le merci e quelli finanziari dove vengono negoziati strumenti derivati che legano il loro prezzo a quello dei beni scambiati nei mercati reali. Proprio l’attività in questa seconda categoria viene accusata di aver invertito la relazione di dipendenza con quelli fisici ed esser diventata la guida di questi. I futures sono contratti derivati con i quali due parti si impegnano rispettivamente a comprare e a vendere un determinato bene, definito sottostante, ad un prezzo prefissato, ad una determinata data futura. Sono di norma negoziati in borsa e quindi standardizzati sia per la misura che per le date di scadenza. La parte che si impegna ad acquistare il sottostante compra il contratto (posizione lunga), la controparte (posizione corta) si impegna a vendere a scadenza allo stesso prezzo. I primi si augureranno che le quotazioni salgano, avendo “bloccato” il prezzo di acquisto, per chi detiene la posizione opposta sarà vero il contrario. È ora fondamentale distinguere tra prezzo spot di un bene e i suoi prezzi futures. Il prezzo spot è quello a cui viene scambiata la materia prima sul mercato reale in quel dato momento, è influenzato dalle leggi della domanda e dell’offerta. Il prezzo futures è invece la quotazione di ogni contratto a termine ed esprime il prezzo al quale gli operatori si impegnano comprare e vendere il sottostante alla data prestabilita, cresce all’aumentare della domanda di posizioni lunghe e/o al diminuire della domanda di posizioni corte e viceversa. In un mercato efficiente il prezzo futures esprime le aspettative per il prezzo spot alla data di scadenza del contratto (funzione di price discovery). Le principali categorie di investitori in futures sulle commodities sono due: hedgers e speculatori. Mentre i primi utilizzano questi contratti per coprirsi da un rischio a cui sono esposti (ad esempio un produttore di mais che temendo un ribasso dei prezzi spot per il periodo in cui avrà disponibile la merce vende contratti a termine per fissare in anticipo il prezzo di vendita) i secondi si assumono un rischio scommettendo sui movimenti futuri dei prezzi futures. Gli speculatori non sono interessati alla consegna fisica del bene, quindi prima della scadenza chiudono i contratti in essere assumendo una posizione opposta. Questo permette loro di puntare sul movimento dei prezzi di cereali, metalli o beni coloniali senza mai entrarci in contatto! Ma se l’attività speculativa (attraverso il rialzo spropositato dei prezzi futures) è accusata di pilotare le quotazioni sui mercati reali anziché predirle, perché non vietare l’accesso ai mercati a questi operatori? Le motivazioni sono che l’attività speculativa, se in misura non eccessiva, apporta dei vantaggi ai mercati. Il primo effetto è quello di portare liquidità agli scambi contribuendo alla continuità e alla velocità delle contrattazioni, il secondo è che proprio le posizioni di questi traders svolgono un ruolo chiave nella formulazione della funzione di price discovery. In ultimo possono essere considerati, in virtù delle posizioni nette lunghe, la naturale controparte degli hedgers che hanno invece tendenzialmente posizioni nette corte. Dall’altra parte però una dose eccessiva di speculazione è accusata appunto di influenzare i prezzi cash della materie prime oltre che di inviare segnali distorti ai mercati; questo sarebbe un tremendo controsenso: infatti i contratti futures sono nati per dare la possibilità agli hedgers di coprirsi dal rischio di prezzo, non certo per rendere tali quotazioni più instabili! Appunto per evitare manipolazioni di questo tipo la Commoditiy Futures Trading Commission (CFTC) vigila sui mercati a termine e impone dei limiti alle posizioni degli speculatori.

Tornando ai fatti vi sono tre tendenze nei mercati futures che sono emerse nel periodo in cui i prezzi delle commodities hanno intrapreso il netto trend rialzista. Innanzi tutto si è visto un deciso aumento delle posizioni degli speculatori, in particolare con l’ingresso massiccio di investimenti da parte dei grandi investitori istituzionali (banche d’affari, hedge funds,…). Si è avuto inoltre un forte sviluppo dei “mercati fuori borsa” (OTC - Over the Counter) che negoziavano strumenti in tutto assimilabili ai futures ma che fino al 2009 non hanno trasmesso dati alla CFTC, rendendo assai facile per gli operatori eludere i limiti da questa imposti (era sufficiente investire su queste piattaforme anziché sui mercati regolamentati!). Infine si è diffusa una nuova strategia di trading, soprattutto tra i suddetti investitori istituzionali, denominata index trading: consiste nel prendere solo posizioni lunghe per un ammontare stabilito nell’asset allocation, indipendentemente dal prezzo, chiudendole prima del termine per riaprirle con scadenza più lontana. Procedendo in questo modo viene snaturata l’essenza del contratto futures e le materie prime arrivano a essere considerate alla stregua di una qualsiasi altra asset class per investimenti di lungo periodo.
Alla luce di questi fatti si è acceso il dibattito. Da una parte coloro che ritengono che un simile boom dei prezzi spot non è giustificabile dai soli fondamentali, e quindi il reiterato e massiccio acquisto speculativo di contratti a termine ha spinto a un eccessivo rialzo i prezzi futures che hanno finito per influenzare erroneamente anche quelli dei mercati spot. Dall’altra chi invece vede l’aumento dell’attività speculativa come un effetto e non una causa della crescita dei prezzi spot, che sono stati guidati dai soli fondamentali. Il punto del contendere è la regolamentazione dei mercati dei derivati, è necessario infatti stabilire un giusto livello di regole che non renda i mercati inefficienti ma allo stesso tempo freni gli eccessi che possano portare a risultati disastrosi nell’economia reale.

Analizzando nello specifico il caso del petrolio WTI, il suo prezzo spot ha visto una vera impennata dai 32 $/barile del dicembre 2003 ai 142$/barile dell’estate 2008, che entro la fine dell’anno era tornato a quota 33. Un comportamento di questo tipo potrebbe suggerire che si sia gonfiata una bolla, poi velocemente sgonfiatasi. Veniamo quindi alle motivazioni che potrebbero aver giustificato un tale rialzo. Dal punto di vista dei fondamentali il boom economico di Cina, India e Medio Oriente ha trainato la domanda che invece è stata stagnante per i Paesi più sviluppati; questi ultimi hanno però a tratti diminuito la produzione, mettendo sotto pressione la capacità produttiva dei paesi dell’OPEC. Nonostante questo non si notano particolari sbavature tra produzione e consumo a livello mondiale, che rimangono perlopiù stabili. Per quanto riguarda l’attività speculativa si nota chiaramente come questa sia arrivata a detenere la maggioranza delle posizioni sul mercato ma non emergono, considerata nel suo complesso, particolari evidenze di un netto aumento delle posizioni lunghe che possa aver guidato le quotazioni. Discorso diverso si deve fare se si isolano i dati riguardanti l’index trading accumunando sia mercati di borsa che OTC che, seppure molto limitati, mostrano una preoccupante correlazione con il prezzo spot. In conclusione è difficile giungere a una risposta chiara, e sotto accusa è la CFTC che forse ha perso un po’ il timone del controllo dei mercati nel momento cruciale, fornendo informazioni carenti per quanto riguarda le posizioni Over-The-Counter e di index trading. L’interrogativo posto all’inizio dell’articolo resta quindi insoluto, ma suona un ulteriore campanello d’allarme sul rapporto fra mercati reali e finanziari. La finanza deve infatti rimanere uno strumento al servizio dell’economia e delle attività umane, e non divenire essa stessa il fine del suo operare.